3 Gennaio 1892: a Bloemfontein, Sud Africa, nasceva John Ronald Reuel Tolkien.
Oggi è quindi il suo 126° anniversario della sua nascita. Auguri, Professore!

Per questo Tolkien Toast, ecco una sorpresa da parte mia: anni fa, esattamente nell’ottobre del 2001, pubblicai un piccolo omaggio a colui che mi permisi di definire l’Omero cristiano del XX secolo. A distanza di anni, l’editrice Ancora propone una nuova edizione di TOLKIEN IL MITO E LA GRAZIA. Un’edizione ampliata, che vede in appendice un testo straordinario di Tolkien, Imram, da me curato, tradotto e introdotto.

Per gentile concessione dell’Editrice Ancora, riproduciamo di seguito il testo della’introduzione.

Imram
di John Ronald Reuel Tolkien – Traduzione e commento di Paolo Gulisano
Il numero della rivista letteraria inglese Time and Tide del 3 dicembre 1955 presentava un contributo straordinario: un breve poema di 132 versi il cui autore era John Ronald Tolkien. Da poco si era conclusa la pubblicazione de Il Signore degli Anelli, uscito – per scelta dell’Editore – in tre parti distinte, e con Il Ritorno del Re i lettori inglesi avevano ora in mano l’opus magnum tolkieniano. Era iniziato il cammino di uno straordinario successo per lo scrittore delle Midlands.
 
Forse fu una sorpresa, per molti lettori che già lo avevano apprezzato per Lo Hobbit e che ora venivano conquistati dalla grande epica della Terra di Mezzo, la pubblicazione di questo poema che si ispirava ad un importante testo del Medioevo irlandese: la Navigatio Sancti Brendani. Scritta da un autore ignoto, probabilmente un ecclesiastico, nel IX o X secolo, conobbe vasta fama e popolarità, diventando un autentico best-seller del suo tempo. Ci è pervenuta attraverso un notevole numero di codici, databili dalla fine del X al XV secolo.
Vi si narra di San Brendano di Clonfert, personaggio vissuto all’inizio del VI secolo, fondatore di monasteri nel remoto occidente dell’isola che si affaccia sull’Atlantico: Ardfert nel Kerry e Clonfert nella Contea di Galway. Brendan, questo il suo nome gaelico, era stato uno dei primi a prendere il mare, fidando totalmente nella Divina Provvidenza, volgendo la sua barca verso l’ignoto. Fu in Scozia, e poi si spinse ancora più a nord, fino ad arrivare alle lontane Isole Far Oer, dove esiste tuttora una toponomastica che ricorda il nome di Brendan.
San Brendano divenne il protagonista di una storia leggendaria che apparteneva ad un genere letterario molto diffuso nell’antica Irlanda, quello degli Imram.
L’Imram era la narrazione di un viaggio avventuroso per mare, compiuto da uno o più eroi. Fu questo genere a influire sulla genesi della Navigazione di San Brendano, in cui al tema del viaggio dell’eroe si sovrappone quello della “peregrinatio pro Cristo”.
Se per gli antichi celti d’Irlanda l’immenso oceano che si stende a Occidente prefigurava l’esistenza di isole misteriose e incantate, Brendano, figlio di quella Irlanda che dopo aver ricevuto il Battesimo da San Patrizio aveva sfornato asceti e evangelizzatori instancabili, è il nuovo eroe che affronta il Mistero forte di una fede eroicamente vissuta, ricca di aspri sacrifici, di sforzi contro ogni pericolo e avversità.
In questo caso il racconto, scritto probabilmente da un profugo giunto sul continente a causa delle tremende incursioni vichinghe che imperversavano in Irlanda, vede come protagonista un monaco, Brendano, il cui desiderio di Dio, di ricerca, non può che rivolgersi verso l’oceano che si spalanca davanti ai luoghi in cui vive. Per gli abitanti dell’isola di Irlanda il pellegrinaggio avveniva ricercando tra le onde: lì è quel “deserto” che altri confratelli trovavano in lande terrestri sperdute e desolate. Gli aspiranti eremiti giungono a imbarcarsi e a lasciarsi trasportare dalle correnti ove la volontà di Dio aveva stabilito. Il viaggio era verso occidente, verso le terre misteriose dalle quali, secondo antichissime narrazioni, erano giunti i primi abitanti dell’isola, di origine divina. San Brendano, figura leggendaria, cioè sottesa tra mito e storia, vissuto alla fine del V secolo, esprime il sentimento di questi uomini, espressione di una società, quella celtica, fondata sui legami familiari, in cui la separazione dal proprio gruppo o clan rappresentava una scelta dolorosa, ma motivata dal desiderio della ricerca. La meta del monaco è l’Isola dei Beati, il Tir nan Og: le isole paradisiache dove trasmigrano le anime dei defunti, la cui esistenza era convinzione diffusa tra i celti, trovando peraltro riscontro anche in altre tradizioni.
L’Imram di Brendan era una prova di grande coraggio, che non poteva non affascinare per uomini di quell’indole, avidi di imprese gloriose. Uomini esagerati, diremmo oggi, che scelsero con la conversione un cristianesimo altrettanto radicale e appassionato. Così anche il monaco Brendano con i suoi confratelli, “una ciurma di frati”, prende il largo, per un viaggio dove incontrerà, in un simbolico itinerario verso la Redenzione, mostri marini, anime di defunti, spiriti trasformati in uccelli, santi eremiti, Giuda Iscariota.
In questa ricerca, che dura ben sette anni, il santo monaco e i suoi quattordici compagni di viaggio si trovano a lottare con mostri marini, si imbattono in devoti eremiti come in figure diaboliche, ricevendo misteriosi messaggi e preziose indicazioni, fino a giungere all’Isola su cui non cala mai la notte, seppure sia avvolta dalle nebbie, a lungo celata agli occhi del monaco perché scoprisse prima alcuni dei tanti segreti posti da Dio sulla vastità della terra e dei mari. Brendano non si ferma sull’isola: la sua scoperta è paragonabile ad una visione mistica, e terminata questa esperienza, c’è una realtà in cui rientrare. Così il monaco volge la nave verso l’Irlanda, facendovi rapidamente ritorno, e morendovi serenamente dopo poco tempo, ponendo fine al suo pellegrinaggio terreno.
Il racconto, divenuto come si diceva largamente noto in Europa, e in Italia particolarmente in Toscana, vide annoverati tra i suoi molti lettori Dante Alighieri, che trasse certamente spunti e suggestioni dalla favolosa vicenda del monaco irlandese.
Così, secoli dopo, anche un altro esploratore del mito, della leggenda e dei sentieri della fantasia come Tolkien non solo riprese, abbastanza esplicitamente, il tema del viaggio dell’eroe, ma anche della ricerca delle Isole dei Beati, presente ne Il Silmarillion e nei Racconti Incompiuti, oltre che naturalmente ne Il Signore degli Anelli, con il suo epilogo – la partenza di Bilbo e Frodo dai Porti Grigi – struggente di bellezza e di nostalgia. Oltre a ciò, come detto ebbe modo egli stesso di comporre una sua versione del viaggio di San Brendano, intitolata Imram.
Al tema classico del viaggio del santo monaco, Tolkien aggiunge alcuni elementi della sua mitologia: gli Elfi, le isole ad occidente della Terra di Mezzo, l’Albero Bianco di Valinor, e infine la Stella, potente simbolo di luce, che aveva guidato Earendil il marinaio nei racconti de Il Silmarillion, di cui è Signora la dolce Elbereth, invocata nella Saga dell’Anello come protettrice dal male. La rivisitazione del viaggio di Brendano operata da Tolkien è intensamente poetica, visionaria, e l’anglosassone professore si lascia conquistare dallo spirito celtico che aveva avuto modo di conoscere attraverso le sue frequentazioni dell’Irlanda. Tolkien conserva i riferimenti originari alla geografia dell’Irlanda occidentale: la contea di Galway, il villaggio di Clonfert, con il monastero di Brendano, il fiume Shannon – il maggiore dell’isola – il lago Lough Derg; rispetto al racconto iniziale aggiunge gli elementi della sua geografia immaginaria, e soprattutto della mitologia, una mitologia che, come è stato spesso rilevato, non ha mai attinto al mondo celtico al quale appartiene Brendano. Tuttavia, se è vero che i punti di riferimento tolkieniani erano i miti scandinavi e germani, in particolare il Beowulf, questo suo poema appare invece un doveroso tributo al mondo celtico che pure era stato non solo dell’Irlanda, ma anche dell’antica Britannia prima della conquista sassone. Se ne Il Signore degli Anelli non mancano i termini gaelici (come ad esempio “Gollum”), ancora tutto da sviluppare appare il tema dell’Anello, che al di là dei riferimenti alla mitologia norrena appare avere un valore peculiare nel mondo celtico, dove esso rappresenta un simbolo negativo, di morte, che occorre spezzare: il simbolo dell’anello spezzato si ritrova così nella simbologia del Torch, il cerchio metallico che i celti portavano al collo, della Tavola Rotonda arturiana aperta (spezzata) in un punto, e soprattutto nel simbolismo della Croce celtica: la Croce di Cristo che spezza il cerchio rappresentativo del mondo, e quindi della morte.
Infine, non si può non rilevare, anche nella breve trama dell’Imram, quanto il tema del viaggio e della Cerca, tanto cari a Tolkien, facciano riferimento al mondo e alla religiosità celtiche.
Brendano, che nell’Imram di Tolkien incontriamo al termine del suo viaggio, è l’uomo che ha compiuto l’impresa a cui ogni celta aspirava: ha toccato le sponde del paradiso terrestre, ha veduto le terre governate dal Re degli Elfi, ha trovato la strada diritta che supera i confini occultati nelle nebbie, ma è poi ritornato, e neppure tanto per raccontare ciò che è indicibile, quanto per testimoniare con la sua stessa persona, con i segni rimasti sul suo corpo e sulla sua anima. E per chi, come il discepolo che lo interroga ansioso, vuol saperne di più, non c’è che l’intraprendere egli stesso il viaggio. Così ne Il Signore degli Anelli questo desiderio, questa aspirazione intensa e appassionata, la si ritrova negli Elfi, come nei piccoli curiosi Hobbit, e il finale dell’Imram, con l’addio di Brendano e il compito affidato al discepolo, non può che richiamare la struggente nostalgia della conclusione della grande epica dell’Anello, con la partenza verso Occidente dei portatori e la missione, affidata a Sam, di custodire la memoria.