di Barbara Sanguineti

Se potessimo sorvolare il Beleriand, quella parte della Terra di Mezzo che fa da scenario principale per le vicende del Silmarillion, scorgeremmo a nord-est una foresta. Dall’alto sembrerebbe relativamente piccola ma se scendessimo, planando sopra di essa, ci accorgeremmo che i suoi alberi svettano verso il cielo più alti di qualunque altro albero della regione e, inabissandoci in quel mare verde scuro, vedremmo la luce scomparire gradualmente per lasciare una vaga penombra al livello del suolo. La foresta si chiama Nan Elmoth e qui si svolge il primo grande idillio romantico delle storie di Arda, l’incontro fra Melian e Thingol.

All’inizio del Silmarillion, durante la marcia degli Elfi per raggiungere il mare, Elwë, uno dei loro re, si perde in quel bosco. Seguendo un canto lontano di usignoli egli si inoltra tra gli alberi fino a una radura rischiarata dalle stelle (Sole e Luna sono ben al di qua da venire) e vi incontra Melian la Maia, essere immortale sul cui volto splende “la luce di Aman”. Lui le prende la mano e i due rimangono immobili a guardarsi per anni e anni.

Lasciamoli per un attimo lì, sospesi in reciproca contemplazione, e soffermiamoci sulle prime stesure delle storie e in particolare sui Racconti Perduti: vediamo che esiste già l’episodio, seppure con rimarchevoli differenze. Non solo i nomi sono diversi – chi conosce Tolkien sa bene quanto fosse incline a rielaborare i nomi dei suoi personaggi con l’evoluzione delle loro storie – ma il tono del racconto è più leggero e meno mistico. Il re elfico si imbatte nella ‘folletta’ che giace assorta in una radura e, avendola risvegliata per errore, sotto l’effetto di un incantesimo capitombola e cade a faccia in giù, piombando a sua volta in un sonno profondissimo da cui si ridesta molto tempo dopo. In entrambe le versioni, comunque, troviamo il bosco e il chiarore crepuscolare, nonché la ‘trance’ indotta dalla visione dell’essere amato.

Nel Silmarillion, una volta risvegliatosi Elwë diviene Thingol, re dei Sindar, e Melian la sua regina: da questo incontro fatale nasce il regno del Doriath, destinato a diventare un baluardo contro la malvagità di Morgoth, e nasce una figlia che avrà nome Lúthien e tanto peso nella storia congiunta di Elfi e Uomini.

L’idillio silvano tra Lúthien e Beren è sicuramente tra gli episodi più celebri del Legendarium. La sequenza dell’uomo che intravede, guarda, si innamora della fanciulla che danza, la quale a sua volta lo nota, fugge e si fa raggiungere, ricalca alla lontana quella dei genitori di lei. Lo sfondo, nonché protagonista silente, è un’altra foresta, un bosco ceduo già pienamente definito all’epoca delle prime stesure:

“… era un posto ombroso, ove crescevano olmi, e anche faggi, che non erano però molto alti, e v’erano anche dei castagni con bianchi fiori; ma il terreno era umido e, sotto gli alberi, cresceva un grande e fosco intrico di piante di cicuta.” [1]

L’accenno alla cicuta non è casuale ma fa riferimento a un elemento autobiografico, come vedremo in seguito. Per ora mi preme soprattutto notare di nuovo l’ora crepuscolare e l’ambientazione tra gli alberi di questo incontro cruciale nella mitologia personale e letteraria di Tolkien.

Tant’è che il medesimo setting ritorna nelle Appendici al Signore degli Anelli per descrivere un altro idillio romantico, quello di Aragorn e Arwen. Nelle intenzioni dell’autore la storia tra Aragorn e Arwen doveva ricalcare quella tra i loro antenati, Beren e Lúthien. Lui è un Uomo di stirpe illustre ma ancora in attesa di dimostrare il suo vero valore, lei una nobile Elfa immortale, il cui padre Elrond pone come condizione alle nozze una prova simile (forse non altrettanto severa) a quella che Thingol aveva preteso da Beren: non la consegna di un Silmaril, bensì il dimostrare il proprio valore e guadagnarsi il titolo di re di Gondor e Arnor. Per Arwen invece, come già per Lúthien, il prezzo dall’amore sarà l’immortalità: anche lei farà la sua scelta e diventerà mortale per restare a fianco di Aragorn.

Ecco dunque l’incontro tra Aragorn e Arwen – lo scenario è ancora una volta silvestre, l’ora quella sospesa tra la notte e il giorno:

Il giorno seguente, al tramonto, Aragorn passeggiava tra i boschi […] Improvvisamente, mentre cantava, vide una fanciulla camminare su un prato fra i bianchi tronchi delle betulle.”

Arwen è straordinariamente somigliante alla sua antenata Lúthien:

“Ecco Lúthien camminare innanzi a lui a Gran Burrone, con un manto argento e azzurro, bella come il crepuscolo nelle terre elfiche;  i suoi capelli scuri volavano nel vento improvviso, e sulla sua fronte brillavano gemme simili a stelle.” [2]

Vediamo quindi che un gioco di specchi trasmette l’immagine degli innamorati che si incontrano tra i boschi, attraverso epoche diverse, dalla Prima alla Terza Era. Quali fattori contribuiscono alla scelta di questa ambientazione?

Ci sono elementi autobiografici, innanzitutto, come si legge nella lettera 340, dove Tolkien si rivolge malinconicamente al figlio rievocando una passeggiata con la moglie Edith nel 1917, scintilla di ispirazione per la vicenda di Beren e Lúthien:

“Fu concepita per la prima volta in una piccola radura in un bosco piena di cicuta a Roos nello Yorkshire […] a quei tempi i suoi [di Edith] capelli erano corvini, la sua pelle chiara, i suoi occhi più luminosi di quanto tu li abbia mai visti, e sapeva cantare, e danzare.” [3]

C’è il grande amore per gli alberi più volte professato da Tolkien in lettere e interviste, e testimoniato dal ruolo che alberi addirittura senzienti hanno nelle sue opere. Ci sono le influenze letterarie poi, il topos della selva come luogo di quest cavalleresche, di smarrimento ma anche di rivelazioni e incontri magici.

E, parlando di smarrimento come stato emotivo, vale la pena di collegarci invece ai temi del Romanticismo di cui Tolkien pure fu debitore, seppure in modo meno dichiarato rispetto alla letteratura medievale. Il Bello e il Sublime, categorie estetiche che proprio in epoca (pre)romantica vengono contrapposte, trovano espressione nello sfondo, ora armoniosamente Bello, ora più vertiginosamente Sublime, della foresta e del cielo crepuscolare costellato di stelle[4]. Così come belle e sublimi allo stesso tempo sono le creature femminili che fanno innamorare i protagonisti: alla grazia e alla armonia che promanano dal loro aspetto si accompagna un senso di smarrimento in chi le guarda, capace di indurre la contemplazione immemore in Thingol, il lungo vagare di Beren o lo stupore incredulo di Aragorn che, incontrando Arwen, crede di rimirare Lúthien in persona.

Certo, gli idilli amorosi di cui abbiamo parlato finora sono presentati in una luce positiva, sia per la virtù dei protagonisti, sia per le buone conseguenze che da tali incontri derivano.

Ma nulla è a senso unico nelle opere del Professore. Per dimostrare ancora una volta che nei suoi racconti alla Luce si contrappone l’Ombra, soprattutto in un mondo irrimediabilmente contaminato dal Male, un’altra coppia, assai meno positiva, si affianca a quelle che abbiamo incontrato finora. Si tratta di Eöl, l’Elfo scuro, e Aredhel, sorella di Turgon re di Gondolin. E dove avviene il loro incontro se non, ancora una volta, in un bosco sospeso tra le ombre? La stessa foresta che aveva visto l’idillio di Melian e Thingol, Nam Elmoth, è la dimora del torvo Eöl e qui egli scorge la principessa elfica, che si è persa e che vaga a cavallo come “candido balenio in quel tenebroso territorio.”[5]

Nelle prime stesure della storia si allude addirittura a una violenza di Eöl nei confronti di Aredhel, mentre nella versione definitiva la loro storia è per breve tempo felice, poi sempre più travagliata. L’oscurità della foresta, inizialmente scenario di romance tra i due (“assieme vagabondavano in lungo e in largo sotto le stelle o alla luce della pallida luna”) diviene per Aredhel, che spesso si ritrova “sola fra le ombre”, opprimente quanto una prigione.

Anche quest’unione produce un frutto, poiché leggiamo che “Aredhel partorì a Eöl un figlio nelle ombre del Nan Elmoth; ma a conferma che da male nasce solo male, sarà un frutto amaro con amare conseguenze: il loro figlio infatti è Maeglin, destinato a divenire uno degli artefici della caduta di Gondolin. Cambiano toni e esiti della storia, eppure anche qui rimangono lo sfondo crepuscolare e la foresta a riecheggiare romanticamente (in tutti i sensi) l’universo interiore dei personaggi.


[1] J.R.R. Tolkien, Beren e Lúthien, Giunti-Bompiani (2017), p. 39.

[2] J.R.R. Tolkien, Il Signore degli Anelli, Bompiani (2011), p. 1140.

[3] J.R.R. Tolkien, Lettere 1914/1973, Giunti-Bompiani (2017), p. 667.

[4] Il tema del Bello e del Sublime in Tolkien è stato trattato da S. Schult nel saggio “Beauty, Perfection Sublime Terror” contenuto in Hither Shore n.7 (2010).

[5] J.R.R. Tolkien, Il Silmarillion, Rusconi (1978), p. 163 e seguenti.

Illustrazione “Summer In Doriath” di Elena Kukanova
www.elenakukanova.com
https://www.deviantart.com/ekukanova/art/Summer-in-Doriath-426686342